Hanno scritto
"Valori Compositivi", di Roberto Cresti
Farei per primo, a proposito delle fonti artistiche delle quali si è giovata e si giova ancora, con originalità, Anna Donati, il nome di Enrico Prampolini, perché fra i futuristi e i post-futuristi ancora in attività per circa un decennio dopo la Seconda guerra mondiale è stato quello che ha praticato, non una figurazione astratta, ma una astrazione figurativa. La differenza fra queste due prospettive è decisiva: nella prima la mimesi del contenuto tolto dalla natura e dall’esterno in genere, è reso essenziale secondo motivi progressivamente depurati (come avviene in Osvaldo Licini), nella seconda è invece un impianto geometrico a essere rimodellato per produrre effetti plastici che, in certi casi, sembrano rivelare un qualche aspetto naturale.
In termini storici, il secondo processo si è affermato con l’aeropittura, ideale teatro di una «ricostruzione futurista dell’universo» che, a partire dal manifesto di Balla / Depero del 1915, e poi dotata del proprio manifesto nel 1929, che ebbe come primo firmatario Filippo Tommaso Marinetti, ma gran demiurgo ne era in stato Gerardo Dottori, ha avuto esponenti di rilievo, come Prampolini stesso, e, assai più giovane, ma non meno agguerrito, sempre per rifare un poco i conti in tasca, ma senza impegni fiscali, alla Donati, Tullio Crali, con cui la sintonia mi pare plausibile davvero a occhio nudo, e anche per l’attenzione alla moda come universo mentale, in realtà rischioso nei suoi commiati e incontri, quale una riscrittura per immagini della operetta morale leopardiana: Dialogo della Moda e della Morte.
Il volo aereo degli anni ’30 si è infatti trasformato in un volo senz’ali e il cielo si è fatto, nel proseguo dell’arte, così trasparente da non lasciare traccia, restando solo l’indispensabile sfondo di supporto a qualunque traiettoria di disegno. L’industria gli ha dato, negli anni ’60, il colpo di grazia, e tutto quello che stava fra le nubi è sceso a terra e ha preso ad apparire nei linguaggi della pubblicità e della televisione.
Ne è sorto, davvero, un nuovo mondo o, meglio, un «mondo nuovo» (The New World) alla Aldous Huxley, che Rainer Maria Rilke chiamerebbe «il mondo interpretato» (die gedeutete Welt), il quale mostra continuamente intorno a noi e addirittura in noi stessi i pezzi d’un domino versicolore, giunto infine con la Rete, dopo tutti i tipi di propaganda e d’induzione alle merci (anche viventi), a vendere l’acquistare stesso: che è la merce più invisibile e ambita su scala planetaria, come una «seconda natura» senza fondamento, che farebbe anche dell’arte un fatto immateriale.
Credo che Anna Donati abbia concepito e sviluppato la sua pittura in questo contesto, che è il non-luogo comune dell’epoca presente, e abbia rifatto a posteriori i conti con l’aeropittura «aptera» fino alle sue fasi estreme e poi con le metamorfosi che ha subito in Piero Dorazio, un altro nume tutelare che credo le si possa assegnare con qualche sicurezza. Però senza sudditanza, anzi con un continuo lavoro di verifica in proprio, mossa dalla vocazione a dar forma partendo dall’astratto ma anche a puntare i piedi per fare apparire qualcosa d’intermedio fra il vuoto e l’immagine.
Chiare deviazioni rispetto a un ideale puramente astratto appaiono nelle opere polimateriche, nelle composizioni con una curiosa vocazione scenografica (che evoca il prampoliniano «teatro di luci»), in un linguaggio di geometrie scalene, di solidi sfaccettati che producono, a volte, una sorta d’effetto rotatorio, ma anche curve sinuose, modellanti volumi di corpi assenti o intrecci fitomorfi, come citazioni liberty.
E un discorso andrebbe fatto sulle affinità, per contiguità ambientale o fortunati incontri avvenuti, fin dai tempi della sua formazione, con Nino Ricci e, a seguire, con Wladimiro Tulli, Umberto Peschi, Magdalo Mussio, artisti che hanno condiviso, nelle loro differenze, l’ideale che l’opera, per quanto aperta, debba essere in sé compiuta, e sono stati i silenziosi maestri d’un artigianato intellettuale senza scorciatoie.
Ad essi si sono aggiunte le collaborazioni con gli architetti, sicché ogni prova di Anna palesa una compostezza assoluta, pensata e ripensata, un «precisionismo» che l’accosta anche a quel movimento artistico che ha avuto come interprete particolare Giorgia O’Keefe, capace di inventare ad occhi chiusi un mondo visibile agli altri.
Ma i confronti sono molto più ampi e quasi imprevedibili. Questa mostra è un vero e proprio dialogo col XX secolo degli artisti che, dal futurismo in avanti, per amore dell’arte l’hanno trasformata in un camaleonte moderno a contatto con tutti i linguaggi costruttivi: dalla grafica al design alla architettura. Scorrono infatti, davanti ai nostri occhi, le visibili parole di questo dialogo, rivolte alle sculture filiformi e sottili di Fausto Melotti, alle opere al vuoto di Piero Manzoni, agli estremismi industriali di Agostino Bonalumi, persino a certe memorie dell’Arte povera.
Forse questa è una conseguenza dello spirito postmoderno, che interroga il moderno novecentesco e ne mette in luce i conflitti irrisolti, l’esplosione rimasta sospesa a mezz’aria, come gli oggetti alla fine di Zabriskie Point di Michelangelo Antonioni. Ma ciascuno di quegli oggetti è concettualmente afferrabile, ricollocabile in uno spazio, associabile ad altri, scomponibile al suo interno come uno scrigno. Valori compositivi contemporanei prendono il posto di qualunque ordine diacronico. L’ineffabile arte dello iki giapponese pare essere scivolata fin qui in Occidente.
Anna Donati lavora per pure analogie, guidata senza pregiudizi estetici dal pensiero della forma, che è la vera forma del suo lavoro, in un labirinto di riflessi senza centro e senza un verso di marcia stabilito: il nome «Iskra», in russo «scintilla», dà fondamento alla sua identità e indica un’accensione come un effetto e una causa. La seguiamo in questo percorso riepilogativo che porta, in realtà, al proprio inizio.
Roberto Cresti
"Anna Donati e la fiamma che arde", di Stefano Papetti
Il nome d’arte che Anna Donati ha scelto sin dai suoi esordi negli anni ottanta può essere interpretato come una dichiarazione di intenti che la pittrice civitanovese ha sempre perseguito con rigore e coerenza: Iskra, infatti, significa in russo “scintilla” e tutta l’attività della Donati si caratterizza per la ricerca di nuove forme espressive che, come il divampare di un fuoco interiore, erompono dalla sua matrice creativa senza mai rinunciare a sperimentare tecniche nuove, utilizzando materiali inediti. Il vetro, l’acciaio, la stoffa, la ceramica, anno dopo anno, sono state sfruttate dall’artista per dare vita a sculture ed a composizioni ibride, affiancando le tecniche più consuete apprese negli anni dell’accademia.
L’uso della matita, dei colori acrilici e ad olio, l’incisione hanno caratterizzato le prime ricerche artistiche della Donati, dominate da un approccio alle forme geometriche composite e ruotanti che, nel dare vita a dei caleidoscopi dell’anima, richiamano certe soluzioni care ai Futuristi, come in modo appropriato sottolinea Roberto Cresti nel saggio contenuto in questo catalogo. Ma l’artista, proprio in virtù di questa fiamma interiore che arde, non si adagia sulla formula che caratterizza il suo esordio nel mondo dell’arte, e passa dalla pittura alla scultura dimostrando la volontà di conquistare lo spazio con la creazione di forme aguzze e taglienti: le piramidi in acciaio e in rame o le composite forme ritagliate nel vetro mostrano tutte la medesima inclinazione volta a slanciarsi nel cielo, assottigliandosi per emergere dalla banalità del quotidiano ed aspirare all’ assoluto.
Nel corso degli anni novanta Anna Donati sperimenta l’uso di carte e di stoffe che, imbevute di colla o di gesso, vengono modellate dalle mani dell’artista per poi solidificarsi in forme che conservano traccia della manualità che le ha formate: i colori brillanti contribuiscono a dare vita a queste sculture che nascono dal dialogo con la pittura, approdando ad una tridimensionalità che tende ad invadere lo spazio dell’osservatore senza però esprimere una volontà prevaricatrice. Con la stoffa Anna Donati compone dei rilievi che nascono dall’intreccio della materia, una sorta di processo affine alla tessitura che sin dall’antichità è sempre stata prerogativa del mondo femminile: il ritrovamento nelle sepolture delle donne picene di primordiali telai e di fuseruole in ceramica dimostra come l’arte di intrecciare i fili sia tratto caratteristico dell’animo femminile, volto a costruire piuttosto che a distruggere. La Donati interpreta questa ancestrale inclinazione in modo contemporaneo ed il groviglio che nasce dal suo intrecciare le stoffe esprime l’inquietudine dell’ uomo moderno, la sua incapacità di dominare le situazioni vivendo sempre in uno stato di emergenza e di preoccupazione.
Negli ultimi mesi, continuando a vivere con passione la sua quotidianità, Anna Donati non ha potuto non registrare nelle opere che ha creato il profondo senso di disagio determinato dal guerreggiare in campi di battaglia a noi vicini: ne sono nate delle sculture in stoffa che sembrano dei sudari che avvolgono corpi martoriati dai quali affiorano macchie rosseggianti di sangue rappreso: trascrizione affidata al messaggio dell’arte delle immagini che più volte al giorno la televisione diffonde dall’Ucraina e dalla Palestina, regioni martoriate da guerre che coinvolgono drammaticamente la popolazione civile. Iskra non si ritira nella quiete rarefatta del suo laboratorio civitanovese vagheggiando un mondo pacifico, ma si serve anche lei delle armi che l’arte le offre per prendere posizione, indignata dal declino morale che ci circonda e la scintilla fa divampare ancora un fuoco inarrestabile che è la cifra del suo vivere da donna e da artista.
Stefano Papetti